venerdì 16 ottobre 2009

FAGHÈR faggio Fagus selvatica L.






Nel nostro “LOCALE immaginario collettivo” vi è un albero che è L’ALBERO, quasi che a meglio classificarlo si rischia di confondere le idee e scambiarlo per qualcun’altro.

E’ un albero che più di ogni altro segna il paesaggio, disegna le stagioni e con esse il trascorrere del tempo come presunzione dell’essere secolare, come presunzione del divenire secolare.

E’ per noi innanzitutto QUERCIA, poi SALICE PIANGENTE, ARAUCARIA, MUSCHIO vellutato, angolo di un GIARDINIO GIAPPONESE.
E’ indizio che SEGNA la VIA.
E’ MULL D’ANELLIDI, LEGNO D’OPERA, MONGOLFIERA D’AUTUNNO, OGGETTO DEL DESIDERIO del legnaiolo.
E’ un ARABESCO INTARSIO del bosco, è come MORBIDA SCHIUMA tra aghi pungenti di conifera.

Tutto ciò, e molto altro ancora è il FAGGIO;
il FAGGIO è la nostra QUERCIA.

Con la Quercia condivide la Famiglia d’appartenenza ma non nel nostro caso l’ambiente. Per struttura e blasone sullo stesso piano, identificano con la loro voluminosa chioma luoghi diversi. La Quercia a nord e a sud delle Alpi sui colli più distanti dai rilievi montuosi. Il Faggio, come la Quercia ma a penetrare le valli fino a toccarne i rilievi. In qualche parte d’Italia si sfiorano, alle volte si toccano.

A girovagare tra i boschi, li dove l’uomo più li ha frequentati, si incontrano




STRANI FAGGI
mai isolati ma normalmente a gruppi, l’aspetto strano, quasi inquietante simili a gargoil di un monumento gotico.
Di solito questa pianta nei nostri ambienti cresce eretta, liscia ed i rami partono regolari a metà della sua altezza.

Questi strani faggi invece si presentano deformi, smisuratamente ingrossati, contorti, spesso con ampie incisioni che si spingono fino al midollo, dove il marciume scava profondi vuoti.
Grosse scaglie di legno secco sporgono ogni tanto, intercalate a lembi di
scorza tenace, pieghettata e grezza, di pachiderma.
Cespi di FELCE DOLCE colonizzano volentieri le sue insenature umide, così come i muschi si propagano uniformi.
Più che Faggi sembrano supporti artificiosi per l’insediarsi di altre entità botaniche ed insetti.
Sono l’effetto delle antiche capitozzature; quella forma di trattamento dei polloni ricacciati dalla pianta e sistematicamente utilizzati dall’uomo. La crescita longitudinale del fusto veniva così interdetta e stimolata invece quella diametrale.

Il risultato attuale è quindi quello di un improbabile cilindro, dall’aspetto grottesco, guarnito di
esili rami/fusto che riguadagnano la libertà di una fuga verso l’alto.

Soffermarsi ad esplorare questi eunuchi del bosco significa spalmare le pupille tra marciumi e disseccamenti, onde legnose e lignina traforata, verdi brillanti e venature di legno screziate dei colori della terra, tra corpi di mostri dalle fauci spalancate e teste di ippopotamo.

Un’esperienza da bosco, o da
Funghi psicotropi















Nessun commento: