mercoledì 18 aprile 2007

"Passeggiata" scialpinistica - Giro della Forcella del Piz di Sàgron-

"Passeggiata" scialpinistica

- Giro della Forcella del Piz di Sagron-







Di seguito alcune immagini della "passeggiata" scialpinistica da me effettuato il 15 marzo 2007.


Partenza: Passo Cereda

Arrivo: Passo Cereda

Durata della "passeggiata": 3,5-4 ore

E' un itinerario non usuale ma conosciuto dai Primierotti. Si effettua anche d'estate ed è mooolto suggestivo.

D'inverno è indispensabile essere certi della stabilità della neve.

Pur se chiamato passeggiata, è un percorso piuttosto tecnico e presuppone una buona capacità di leggere innanzitutto la neve ed una buona padronanza dello sci.

Dal Passo si prende in direzione Malga Fossetta ed una volta raggiunta si segue il sentiero per Passo Palughét (tabella all'inizio del pascolo in alto a sinistra)

La Forcella del Piz, una volta raggiunto il Palughét, è visibile a sinistra dell'omonima cima ben identificabile salendo.

La Forecella del Piz si raggiunge scendendo un ripido canalino che si trova un centinaio di metri a sinistra del Passo in direzione est (verso Pale del Garofol, seguendo il crinale tra i mughi), tramite tale canalino si raggiungel'alta val Giasinozza. Da qui, in circa mezz'ora si arriva alla forcella del Piz di Sàgron.

Il 15 marzo, sulle pareti a sinistra della forcella del Piz, svolazzava e cantava il bellissimo Picchio muraiolo.

La discesa per il canalone è piuttosto facile, naturalmente è indispensabile accertarsi della stabilità del manto nevoso!!!
Arrivati in prossimità dei primi mughi, è bisogna girare rapidamente a sinistra e districandosi tra le piante di faggio puntare decisamente verso l'alto Fratton per raggiungere la strada forestale che confluisce in quella che ci riporta a Passo Cereda e già percorsa all'andata.



Salendo verso il Passo del Palughét




Arrivando al Palughet si materializza il Piz



Piz forcella del Piz di Sagron dal Palughét




Forcella del Piz



Salendo alla Forcella del Piz




Forcella del Piz di Sagron


Veduta dalla Forcella del Piz verso Sagron e Agordino



Discesa dalla forcella verso Sagron

SEMPLICEMENTE… NERONE!!
(emisferi capovolti)

C’era una volta, nel bel mezzo di una radura, in un bosco denso e scuro, il………

NO!!
Non si può certo iniziare i questo modo un racconto sul…CEDRONE.

CEDRONE: animale piumoso, tacchino, petto di pollo, coscia, osso a forchetta, buio,
TELIP-TELEP, FLAP-FLAP E CRACK!!

Mah!!
…“…smorza la pila”, dicevo sottovoce al mio amico G., mentre, insidioso nel buio e poco solidale con il silenzio necessario, l’ennesimo rametto si spezzava sotto i nostri piedi, provocando quel caratteristico rumore secco, tanto caro al Cedrone che subito si allarma.

Piuttosto………
…potrebbe colpire la volta celeste che, se limpida nel cielo primaverile, ti fa sentire come rinchiuso in una boccia di vetro e dove, lontani dalle luci che normalizzano il sistema urbano, quasi le costellazioni ti dicono il proprio nome…

Mmmm…difficile decidere…
Forse però così:
Tra scienza e poesia, sudore, freddo e scocciatura, quando in primavera mi trovo al mattino presto, nel buio, ad attendere il Cedrone:

Una persona, compare!
Paaablooo!!??
Che ci fai qui, Pablo?
Sogno o sono semplicemente in bilico tra il giorno e la notte, fra la foresta e il limbo?
Da dove esci? Forse quel pertugio fra le pietre comunica con le Ande e con l’aldilà?
Quasi quasi mi ci infilo anch’io!
Diavolo! c’è scritto (in inglese) ONE WAY!! Sono tagliato fuori!
Ma Pablo!
Questo non è posto per te, hai sbagliato, hai confuso i meridiani ed intrecciato i paralleli, devi rifare tutto!
Anch’io devo rifare tutto, devo togliermi dalla mente queste larghe foglie gocciolanti, queste infinite e viscide liane e quei fiori troppo grandi, esagerati per essere nostri. Devo scappar via da questa foresta tropicale dove le gocce si trasformano in verdi smeraldi e le serpi in fallici attributi!!
Guardo l’orologio, ma vedo solo, una lieve increspatura ………!

Che scherzetto stamattina…cose dell’altro mondo, da non credere.
Ho evocato Pablo!!
Provo con questa formula inventata all’istante a rimettere in ordine le cose:

“Penne nere e penne chiare,
penne rigide e penne morbide,
rossi sopraccigli e becco rapace,
impeto battagliero e pari sguardo.”

Diavolo!
Sembra funzionare!

Paralleli e meridiani si ricompongono e le grosse conifere mostrano nuovamente le loro sagome acuminate.

Me ne rendo conto ora;
ad evocare l’immagine di Pablo la sinergia di immagine fra Condor e Cedrone!
Affinità fra i due?
Nel buio della notte, perché no?

“Io sono il condor volo
su di te che cammini,
e d’improvviso in un giro
di vento, penna, artigli,
ti assalto e ti sollevo
in un ciclone sibilante
di freddo tempestoso.

Alla mia torre di neve,
alla mia tana nera,
ti porto, e sola vivi, e ti copri di penne,
e voli sopra il mondo,
immobile, nell’alto.

……………………”

(Pablo Neruda, Il condor)

domenica 8 aprile 2007






















Interviste alla ricerca dell'identità delle nostre piante





Antonio Salvadori (Tonino)
Luogo del rilievo e dell'intervista

Matiuz – Casere, 18 giugno 2003

Piantai = Plantago sp., Piantaggine
Strafoi = Trifolium sp., Trifoglio
Djegol = Laburnum alpinum, Maggiociondolo
Fiuda = Peucedanum ostruthium
Bertonega = Se spachea la falz
Bisigagn = Anti gonfiore
Slavatha = Rumex sp.; Lingua di vacca
Spin = Cirsium – Cardus, Cardo
Aorosch = Veratrum album, Veratro
Sparaso = Aruncus sylvestris, Asparago selvatico
Sanzane = Salvia pratensis, Salvia selvatica
Gràsola = Chenopodium Bonus- henricus, Buon enrico, Spinacio selvatico
Pan dei alpini = Carlina acaulis
Cicoria = Composita gialla (non classificata)
Slavàtha = Petasites albus, Farfaraccio
Sédola = Rumex acetosella, Acetosella
Sonài = Trollius europeus, Botton d’oro
Coda de mus = Equisetum sp., Equiseto, Coda cavallina
Coca = Lilium bulbiferum, Giglio rosso, Giglio di S.Giovanni
Garnétole = Vaccinium vitis-idaea; Mirtillo rosso
Scìarandèi = Rubus saxatilis,Rovo erbaiolo
Fave = Senecio alpinus
Sopìn = Colchicum autumnale, Colchico (aspetto primaverile)
Belladonna = Paris quadrifolia
Aonèr = Alnus incana, Ontano bianco
Sacolèter = Salix eleagnos, S. purpurea
Coca selvàrega* = Lilium martagon, Giglio martagone
Théseroi = Vicia sp
Théser = Pisello
Arcàdene = Felci
Cagnère = Lonicera sp., Caprifoglio
Cornàtha = Clematis alpina, Clematide alpina
Cariéch = Carum carvi, Cumino
Radis doltha = Polipodium vulagare, Felce dolce
Timo = Timus sp., Timo
Sambùch = Sambucus sp., Sambuco






Erminio e Maria Salvadori
18 giugno 2003


Belùdola = Calistegia sp. Convolvolo
Verthen* = Stellaria sp. (da verificare)
Valeriana = Valeriana officinalis, Valeriana
Arnica = Arnica montana, Arnica
Cantarèla = Rhinanthus sp. (..se ‘ndea a le Fante a siegar)
Tabàc selvarech = Verbascum sp.
Fior del mal de testa* = Daphne mezereum, Fior di stecco
Luth = Crocus albiflorus
Galét = Primula veris
Pissa mus = Primula farinosa
Stusa candele = Soldanella sp.
Fraga = Fragaria vesca, Fragola
Ruosa = Rosa sp., Rosa domestica
Mùliga = Rubus idaeus, Lampone
Giàsena = Vaccinium mirtyllus, Mirtillo
Viligoi = da classificare
Pagògna = Viburnum lantana, Lantana
Campanèle = Leucojum vernum, Bucaneve



Marcon Imelda
Pante, 18 luglio 2003


Fior dele Noithe* = Lilium martagon, Giglio Martagone
Pugnoi = Mentha sp., Menta
Stròpa cui = Rosa canina, Rosa sp., Rose selvatiche
Ducamara = Solanum sp., Dulcamara
Bodis * = Daphne mezereum, Fior di stecco
Régie de lìore = Silene dioica, Silene
Arcadene* = Pteridium aquilinum, Felce aquilina
Sfelth* = Felci
Théntivèl*Intivel, Entivel= Stellaria sp.,
Sposèi = Galinsoga ciliata
Aj selvaréch = Alium sp., Aglio


Le specie contrassegnate dall’asterisco sono quelle il cui nome dialettale trova due diverse interpretazioni. Nel caso del Giglio martagone la versione data da Imelda mi sembra la più realistica anche se andrebbe verificata. Interessante è la classificazione data sempre da Imelda in merito alle felci. Secondo la sua versione solamente la Felce aquilina viene detta Arcadena, tutte le altre invece si identificano con il generico Sfelth. Effettivamente la Felce aquilina si presenta dal punto di vista morfologico molto diversa dalle altre in quanto ramificata.

lunedì 2 aprile 2007

Riguardo Sagron-Mis: cercando di capire cosa ci spinge a scegliere di vivere in bilico sulla capocchia di uno spillo



Parlare a riguardo di Sagron-Mis devo ammettere non essere cosa immediata. Non è argomento, come a volte accade, attorno al quale, in maniera spontanea ed istintiva si riescano ad intessere osservazioni delle quali andare soddisfatti; spunti essenziali, diretti, utili a cogliere l’essenza e lo spirito delle cose.
Forse, parlare di Antartide o di profondità marine, di fili d’erba, dei Celti oppure degli Ainu Giapponesi potrebbe rivelarsi cosa più abbordabile perché elementi estranei al concetto di “Endocosmo” come direbbe Fosco Maraini.
Se per endocosmo intendiamo tutto ciò che gravita, anzi, orbita, all’interno della nostra mente come espressione di personalità dovuta all’aggregarsi delle varie esperienze, il nostro ambiente fisico riveste un’importanza determinante e se l’ambiente fisico che ci ospita è lo stesso che ti ha visto nascere e crescere, questa importanza diventa decisiva e probabilmente incide fortemente sull’obiettività. Di primo acchito questo impedisce di far correre i pensieri e con ciò di lasciarli vagare tra le pieghe di quelle cose ammassate che formano l’anima quasi “feltrosa” di un luogo.
L’anima di un luogo non si racconta di certo redigendo l’elenco dei suoi fatti e degli avvenimenti. La ricerca storica e senz’altro scienza affascinate che per quanto riguarda il nostro angolino (non mi va di chiamarlo Sagron-Mis….) non ha trovato ancora di che approfondirsi, ma fa parte di un modo diverso rispetto a quello che vorrei raccontare io, che sarà certamente di parte e….spudoratamente fazioso!
Qual è la fisionomia attuale di questo angolino di mondo? Che posto trova nella società? Quali i pensieri di chi ci abita? Dove siamo partiti, ma soprattutto dove si andrà?

(Spero che chi legge conosca almeno in parte la realtà di questa zona).

Girando il mondo, sorge spontaneo manipolare le tesserine di ricordi che il nostro cervello ha diligentemente affastellato e riposto dove credeva la sicuro per affiancarle alle immagini di quel momento stesso, e farne così un confronto, una valutazione, per trovarne, come si fa in certi giochi da enigmistica, le differenze.
Nei paesi poveri, la realtà è misera -lo dice lo stesso aggettivo- ma è la realtà vera e pura dove condizioni economiche, situazioni umane, paesaggio, procedono di pari passo, sono tra loro complementari, sono frutto indissolubile del momento storico; l’economia di sussistenza forgia le persone e nel contempo sagoma il paesaggio. Tutto è strettamente correlato attraverso solidi rapporti di causa ed effetto.
Le megalopoli occidentali così come quelle orientali mostrano la faccia opposta delle nostre tesserine e confronteremo così il nostro angolino con quella realtà cosi cangiante di modernità, dove miliardi di altre tesserine, variamente agglomerate, creano un tutt’uno con quella realtà altrettanto vera ed attuale dove le attività umane trovano riscontro all’interno di un tessuto urbano propagatosi in funzione di determinati interessi. Anche qui, la realtà è contingente, la Megatown come contenitore per un’espressione dell’umanità attuale.
In mezzo a tutto ciò, in un gradiente di regressione dalle mille sfaccettature tutto il resto del pianeta, con le sue memorie piene di tesserine, a confrontare i suoi estremi.

Come vedo io il mio angolino?

Se separiamo, come fatto qui sopra, il contenitore, ossia la Civitas, dal contesto sociale dalla quale essa è scaturita, ne risulta una specie di ampolla, ancora parzialmente piena al suo interno, ma sospesa nel vuoto, dove i suoi abitanti e le loro tesserine paiono scollegati dall’ambiente circostante, non più in relazione con il progetto iniziale che ha dato forma al nostro contenitore.
Se, a dare forma al nostro contenitore, hanno contribuito nel corso dei secoli passati, ciurme di carbonai, manipoli di minatori, testardi lavoratori della terra strappata al denso della foresta; se sono questi i nostri predecessori, noi, ora, cosa ci stiamo a fare qui?
Cosa ci stiamo a fare dentro un contenitore progettato e soprattutto posizionato in un contesto geografico scentrato rispetto alle attività economiche d’oggi, lontano dai crocevia che stimolano l’esistenza, collaterale alla vita reale che ti mette i circolo con la società attuale, con le nuove tendenze dell’arte e della cultura, con le opportunità, di qualsiasi genere esse siano.
Qual è lo scopo di rimanere a dare sostanza a questo contenitore senza più legami con l’ambiente circostante; l’attività mineraria si è esaurita decenni fa e non ci saranno certo speranze per una sua ripresa né a breve né mai; la coltivazione del bosco non è più pratica di soddisfazione generale e qui, nessuno potrebbe vivere di solo legname, per non parlare dell’agricoltura di montagna che è puro folclore o dell’allevamento drogato dai trasferimenti provinciali e comunitari.

Perché quindi occupare questi spazi fuori dal tempo, rimasti, come oggetti abbandonati sulla pista, da una carovana che si sta continuamente muovendo?
Quanti sono gli esempi di chi ha seguito il flusso, la corrente, andando altrove alla ricerca di opportunità, di linfa vitale; è sufficiente attraversare a caso un qualunque ambiente montano dalle Alpi all’Appennino per imbattersi in borghi fantasma, è sufficiente…uscire di casa!
Tutto si potrebbe risolvere citando nuovamente Fosco Maraini: “ Più una cosa è semplice e più è raffinata, ma non della semplicità del primo tipo, cioè di colui che torna indietro sui propri passi fino al semplice, ma quella del secondo tipo, cioè di colui che arriva al semplice avendo percorso tutta la circonferenza del complicato”.
Noi, abitanti dell’angolino, contenuto dell’ampolla, saremo del primo o del secondo tipo? Saremo dei profondi pensatori, fini intellettuali, architetti dell’esistenza, poeti, oppure stupidi zoticoni dai cromosomi involuti, e ritornati, ascia in mano agli albori della nostra piccola aiuola?
A questo non so rispondere. O forse non voglio rispondere?
Forse risponderò, oltre.